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2001: A Space Odyssey - 2001: Odissea nello Spazio |
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Con il bambino delle stelle per sempreNel mese di aprile del 1968 usciva negli U.S.A. “2001: Odissea nello Spazio”Ho visto, per la prima volta, “2001: odissea nello spazio” di Stanley Kubrick nel dicembre dell’anno 1968, a Firenze. In una sala cinematografica affollatissima, in un silenzio totale, interrotto, si fa per dire, dagli sguardi di spettatori increduli che cercavano reciproca complicità di fronte a un film che non era soltanto cinema, ma un’interpretazione del cammino dell’uomo sulla terra, del destino tecnologico dell’umanità, del sogno “stellare” di un’epoca alle soglie dello sbarco sulla Luna. Il film aveva avuto, presso la critica internazionale ed italiana (tranne le eccezioni di Michel Ciment, Goffredo Fofi e di Enrico Grezzi) un’accoglienza tiepida: benevolmente, i meno intransigenti parlavano di un’opera documentaria, se non addirittura amatoriale. Dietro c’era invece un lavoro di quattro anni: letture, ricerche, indagini scientifiche, valutazioni filosofiche, incursioni nel territorio - fino ad allora poco frequentato - degli effetti speciali. Come punto di partenza Kubrick utilizzò il racconto di Arthur C. Clarke (scomparso recentemente) “La sentinella”. I rapporti tra i due furono comunque difficili. Il trattamento letterario di Clarke veniva a confliggere, in alcune parti, con la sceneggiatura voluta dal regista, il quale, per altro, amava dire che il “cinema opera a un livello più vicino a quello della musica o della pittura che a quello della scrittura”. Secondo il giudizio di Kubrick un film come “2001” doveva veicolare concetti complessi ed idee astratte senza servirsi troppo della parola (il film è una delle opere meno parlate della storia del cinema dopo l’avvento del sonoro; in due ore e quaranta minuti di pellicola ci sono solo quaranta minuti di dialogo). Alla fine prese forma un poema visionario sull’evoluzione dell’uomo. |
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Una odissea, appunto, ambientata nel fatidico 2001 (l’anno che Kubrick non vedrà mai; il regista se ne andato nel 1999), narrata soprattutto da immagini (mai viste prima) e da musiche che, da allora, associamo, nel nostro immaginario, allo spazio: “Sul bel Danubio blu” e “Così parlò Zarathustra”. Non mette conto in quest’occasione di ricostruire la trama. Vale la pena soltanto di ricordare i momenti chiave del film, giusto per rileggere insieme il sommario di una delle più straordinarie avventure della mente che l’arte cinematografica ci abbia dato. L’apparizione del monolite nero ai primati (e quindi a noi spettatori) inquieti nel cogliere questo indecifrabile segno dell’universo. L’estrema e vertiginosa sintesi racchiusa nel gesto dello scimmione che scopre l’uso (violento) dell’osso/clava e, lanciandolo in aria, proietta in un balzo l’alba dell’uomo verso la sempiterna notte delle astronavi in movimento, verso un futuro di suadente armonia tecnologica (le note del famoso valzer straussiano), nel quale però è già presente l’inquietudine del dominio informatico (l’elaboratore HAL 9000). L’apparente coesistenza pacifica degli “operatori dello spazio”, russi e americani, inclini a tener viva una reciproca sospettosità da “guerra fredda”, al di là di formali scambi di cortesie e di saluti. La familiare quotidianità degli atteggiamenti “terrestri” anche in un contesto di forte progresso scientifico: padre e figlia che si parlano attraverso quello che oggi chiameremmo un videotelefono. Il viaggio verso l’ignoto, dopo il ritrovamento del monolite sulla Luna, della nave spaziale “Discovery 1”. Passeggeri in azione e passeggeri ibernati: per rispondere alle esigenze dei lunghi percorsi galattici. La monotonia del tempo da far trascorrere. L’intuizione dell’avaria prodotta da un cervello elettronico dotato di uno dei sentimenti più sfacciatamente umani: la gelosia. La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza dopo aver scoperto un pericolo inatteso: la techne come fonte di distruzione. Infine (e chissà quant’altro di stupefacente dimentico) il viaggio verso Giove e oltre l’infinito. Quel trascinare lo spettatore verso altre dimensioni visive, corporee, strutturali e mnemoniche, insolite e, al tempo stesso, apparentemente già conosciute. Per approdare a quella camera del Settecento collocata in un angolo sperduto dell’universo, forse arredata così perché testimonianza, anche per gli extraterrestri, di un riferimento culturale alto e colto: il XVIII secolo, età della Ragione e dei Lumi nella storia del pianeta Terra. L’astronauta che vede la propria decadenza e morte come una messa in scena dell’altro da sé; l’ultimo degli umani che muore “solo” per rinascere come feto astrale, come bambino delle stelle, in un ciclico ritorno della vita, per l’eternità. Antonio Sacchi |
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anno di uscita:1968
regia: Stanley
Kubrick
"The Sentinel" di
A.C. Clarke Douglas Trumbuli, Con Pederson, Tom Howard (supervisione), Colin J. Cantwell, Bryan Loftus, Frederick Martin,
Bruce Logan, David Osborn, John Jark Malick |
interpreti: |
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Keir Dullea
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David Bowman
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Gary Lockwood |
Frank Poole
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William Sylvester |
Dottor Heywood Floyd |
Daniel Richter
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la scimmia
"Guarda la Luna" |
Douglas Rain
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la voce di HAL
9000 |
Leonard Rossiter
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lo scienziato
russo Smyslov |
Margaret Tyzack
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la scienziata
russa Elena |
Robert Beatty |
Halvorsen
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Sean Sullivan |
Michaels
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Frank Miller
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addetto al
controllo missione |
Penny Brahms
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la hostess
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Alan Gifford
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il padre di Poole
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Vivian Kubrick
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la figlia del
dottor Floyd |
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produttore |
Stanley Kubrick (produttore associato Victor Lyndon) per la MGM; |
distribuzione |
MGM |
origine |
Gran Bretagna |
durata |
141' (altre filmografie indicano 160 minuti. Kubrick è spesso intervenuto, dopo le anteprime, per togliere qualche minuto alle proprie opere. La durata originale di 2001 quando fu mostrato in anteprima a New York il primo Aprile 1968 era di 161'. Kubrick stesso decise di limarne circa 20 minuti).
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Premi Oscar |
Effetti speciali |
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