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A.I. Artificial Intelligence: una geniale delusione |
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E’ difficile nascondere la delusione provocata dalla visione di A.I. ed è inevitabile e appassionante (quanto inutile) pensare come sarebbe stato lo stesso film se fosse stato realizzato completamente sotto il controllo assoluto e dittatoriale di Stanley Kubrick. Steven Spielberg è un grande regista ma i difetti tipici di alcuni suoi film, legati al fatto di essere così profondamente americano, si ripresentano puntualmente in questa opera originariamente pensata da Kubrick che, pur essendo nato a New York, nel Bronx, era un americano atipico, inflessibile censore della società occidentale e sempre cordialmente odiato dallo star system hollywoodiano (odio ricambiato, peraltro). Lungo, melenso, consolatorio: questi i tre termini che riassumono il film.
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La prima parte è complessivamente la meglio riuscita e descrive il più o meno tranquillo menage di una tipica famigliola borghese americana con un bambino “orga”, cioè in carne ed ossa, invidioso e cattivo nei confronti di David, il fratellino adottato “mecha” capace di provare sentimenti. Ma a questa seguono altre due parti “in calando”. Nella prima, David (interpretato dal bravissimo attore-bambino Haley Joel Osmet) è abbandonato in un bosco da Monica, la mamma adottiva “orga”, insieme all’orsacchiotto Teddy che lo accompagnerà per il resto del film come un supertecnologico Grillo Parlante. Nel corso delle loro peregrinazioni i due incontrano il robot-gigolo Joe (interpretato da Jude Law) che Spielberg rende protagonista di alcuni siparietti spiritosi. Gigolo Joe aiuta il Pinocchio-robot David a trovare la fata Turchina, l’unica che lo possa trasformare in un vero bambino e gli consenta quindi di riconquistare l’amore della mamma “orga”. In questa seconda sezione è anche inserito l’unico episodio dell’intero film degno di Kubrick: quello in cui i robot vengono distrutti, per il divertimento degli umani, nel corso di un grande spettacolo organizzato in un allucinante paese dei balocchi. Sappiamo che le vittime sono solo evolutissimi ammassi di silicio ma i sentimenti di solidarietà e simpatia nei confronti di quei “mecha” più umani degli umani sgorgano quasi automaticamente. L’episodio, oltre ad essere degno di Kubrick, ricorda anche uno dei suoi film più famosi: i “mecha” che aspettano nelle gabbie di essere sciolti nell’acido sono come i gladiatori che in Spartacus attendono il momento di entrare nell’arena ad affrontare la morte.
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Ma è soprattutto il terzo e conclusivo episodio che delude. Nell'epilogo, che si discosta da quello del Pinocchio di Collodi fino a quel momento seguito nelle linee essenziali, David riesce a riabbracciare la mamma per un solo giorno, finalmente da lei amato e accettato come un vero bambino I fantastici effetti speciali di una Manhattan (con le Twin Towers) semisommersa dalle acque non bastano a salvare questo finale strappalacrime raggiunto da Spielberg dopo alcuni salti mortali metafisici, come se il regista non sapesse dove andare a parare. Il sospetto è che Spielberg abbia inserito nel film tutti gli episodi e le idee discusse con Kubrick durante la preparazione del film, senza opera di censura alcuna, in una sorta di rispetto nei confronti del genio scomparso. Dimenticando forse che, in fase di montaggio, Kubrick era solito ripensare i film 100 e più volte, scartando e ri-aggiungendo sequenze fino a trovare la combinazione che soddisfacesse il suo maniacale e geniale perfezionismo.
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Released date: 2001
Directed by
Steven Spielberg Steven Spielberg (screenplay)
Music: John Williams
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